Il sorriso di una donna non è un invito alle molestie

Le donne lo sanno, c’è discriminazione e discriminazione. C’è quella manifesta, sfacciata, quasi socialmente “accettata”, sedimentata per un comodo gioco di equilibri sociali che hanno trovato le loro fondamenta nei pregiudizi di genere. E poi c’è quella dei piccoli, inconsapevoli riflessi quotidiani, quella al limite del cosciente. La prima è quella spudorata, che ti fa firmare una lettera vuota al momento dell’assunzione sul posto di lavoro, per poi riempirsi di un bel testo di dimissioni nel caso di un’eventuale gravidanza, e poi ci sono i piccoli gesti subdoli della vita di tutti i giorni, che hanno saputo infiltrarsi nel nostro immaginario e irrorarne gli atteggiamenti di pregiudizi sessuali.

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Sul posto di lavoro ma anche a casa, da parte di uomini e perché no, ahinoi, anche da donna a donna. La discriminazione usa spesso canali sottili per manifestarsi. Si insinua tra le righe di un discorso ben confezionato, trova il suo set tra gli sguardi compiacenti, cavalcando l’onda dei pretesti: una gonna troppo corta, una maglia troppo scollata, un sorriso inaspettato. Il sorriso di una donna non vuole necessariamente tradursi in un invito a scopo sessuale, e tanto meno significa disponibilità ad accettare molestie da parte di un uomo. Lo dicono, con l’ immediata ed efficace semplicità dell’arte, le vignette promosse da Everyday Feminism, il sito femminista americano che ogni giorno tratta argomenti come la violenza e la discriminazione delle persone a causa del loro genere o dell’orientamento sessuale: un sorriso viene spesso volutamente reinterpretato.

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Se non volevi che ci provassi con te non avresti dovuto sorridermi” “Io sorrido mentre lavoro, perché significa offrire un buon servizio al mio cliente“. C’è chi sorride per apparire professionale, chi per educazione, chi, magari, in preda alla timidezza, accenna a un sorriso per stemperare la tensione, ma, poiché spesso la malizia è negli occhi di chi guarda, quello che piace vedere è la traduzione del sorriso in disponibilità sessuale, la rilettura dell’attenzione alla propria estetica in superficialità, quel tocco di eye liner in più in ricerca di malizia, e così via, fino alla degenerazione più futile che vede nella procacità un sinonimo di stupidità. A dare facile gioco all’equivoco sono amici, colleghi, sconosciuti che incrociamo al bar. Ma anche colleghe, conoscenti e tizie che incrociamo dal parrucchiere. Spesso infatti complici del gioco al massacro dei pregiudizi di genere sono le donne stesse, serpi che si difendono dalla propria fragilità attaccando il proprio “simile”. Ci vorrebbe meno livore, per poter godere davvero della bellezza di un sorriso.

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